Una dichiarazione condivisibile

Il sig. Fini, attuale presidente della camera dei deputati, ha dichiarato oggi di essere favorevole all’introduzione di una norma, del genere di quella appena approvata nella Repubblica Francese, che vieti di indossare in pubblico il velo integrale – come per esempio il burka e il niqab propri di certe correnti fondamentaliste che, in questo, si ispirano a usanze tribali piuttosto che all’Islam autentico.
La norma introdotta in Francia su proposta della ministra della giustizia contempla una sanzione di 150 euro con obbligo di frequenza di un corso di educazione civica per le donne che indossino il velo integrale in pubblico, ma una multa di 30.000 euro (fino a 60.000 se esse sono minorenni) per gli uomini che le obblighino a farlo, mentre i mariti che vi costringano le proprie mogli saranno passibili di arresto fino a un anno.
Nella sua dichiarazione (vedi qui l’articolo di stampa) il sig. Fini si è richiamato “al valore contenuto nella nostra Costituzione, al pari di quella francese, relativo alla dignità della donna che non può essere sottoposta a violenze o a comportamenti indotti da gerarchie diverse da quelle della Legge“.
Premesso che convintamente sostengo il relativismo culturale, così come aborrisco quello etico, mi ritrovo con pienezza nelle parole del sig. Fini e soprattutto in quelle che concludono la sua dichiarazione, laddove egli si riferisce, indistintamente, a gerarchie diverse da quelle della Legge.
Sulle questioni dell’immigrazione non penso di  avere opinioni identiche a quelle attuali del sig. Fini. Mi sembra però assai apprezzabile che egli, lontano anni-luce da quel razzismo ipocrita e straccione che politicanti imbroglioni agitano, all’occorrenza, per obliterare ogni genere di magagna grazie al facile imbonimento dei cervelli più deboli, pure in questo mostri di ispirarsi a un sistema di principi e valori di ordine generale che si potrebbe definire virtuosamente prepolitico.
Anche la Repubblica Francese, su questo tema, mi pare abbia legiferato in un quadro di coerenza e non nella logica di coltivare pulsioni becere a scopo diversivo. Esemplare è la precedente Legge sull’esposizione di simboli religiosi nella scuola pubblica, vedi qui, che fu approvata nel marzo 2004 e che inseriva nel codice statale dell’educazione il seguente breve articolo: “Nelle scuole elementari, nelle scuole medie e nei licei pubblici lo sfoggio di segni o abiti con i quali gli alunni manifestano ostensibilmente un’appartenenza religiosa è proibito“.
A quel tempo il presidente della RF era Jacques Chirac, uno degli ultimi autentici statisti d’Europa la cui levatura, soprattutto se raffrontata a quella de le petit president bling-bling suo successore, si può ben misurare anche oggi. Egli volle che un’apposita commissione “di riflessione”,  composta da venti saggi e denominata Stasi dal nome del suo presidente, esaminasse anche in sedute pubbliche e con l’ausilio di numerose audizioni l’applicazione del principio di laicità repubblicana. Il rapporto conclusivo che ne venne costituì la base del progetto di legge d’iniziativa governativa poi votato a stragrande maggioranza sia dall’assemblea nazionale che dal senato.
Con l’Italia la Francia divide un confine, ma su questo piano è come se appartenesse a un altro pianeta.
MS

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