“Paesi arabi moderati” – parte prima

Primo a compiere l’impresa fu il popolo tunisino. Impresa costata sangue non poco, non ancora condotta a esito pieno, ma comunque esemplare per coraggio e determinazione alla libertà, d’incoraggiamento a tutti i popoli abitanti Stati più o meno vicini e che col tunisino condividono tanto l’identità culturale quanto la soggezione a oligarchie infami e corrotte che hanno tradito e venduto allo straniero i popoli rispettivi.
Il signorotto locale Ben Ali, salito al potere nel 1987 grazie a un colpo di Stato compiuto con l’attiva complicità dei governanti italiani del tempo, Craxi e Andreotti in primis, vi si era mantenuto in tutti gli anni seguenti con l’oppressione la tortura e l’assassinio, instaurando un sistema dominato da una cricca avida, corrotta e immorale facente direttamente capo alla sua famiglia, “vincendo” con maggioranze iperboliche tutte le elezioni regolarmente tenutesi (a icastica prova di quanto siffatte rituali celebrazioni siano effettivamente rappresentative della volontà popolare) e guadagnandosi la palma di una laicità legislativa e istituzionale non priva di fondamento reale ma conservata, oltre che per coerenza di dominio, per essere esibita in quanto virtuoso campione minoritario da contrapporsi, a propagandistico beneficio dei protettori occidentali, all’ondata di reislamizzazione dilagante nelle terre degli arabofoni e comunque in quelle che islamiche già erano alle origini.
Una condizione di privilegio nei rapporti con l’occidente, che è risultata nello sviluppo di lucrosi traffici, più o meno puliti, con affaristi e imprese straniere, dai quali ha tratto a sua volta alimento una corruzione sempre più sfacciata e pervasiva. Mentre il popolo languiva, una cricca di mascalzoni vendipatria si ingrassava alle sue spalle e ben nutrita di bashish ingrassava a sua volta, sempre a spese del popolo, squali neocolonialisti di svariate specie. Chiamare “quisling” canaglie di tal fatta suonerebbe ingiuria allo stesso Quisling il quale antonomasticamente si prestò sì a collaborare con gli invasori hitleristi del suo paese, ma da simpatizzante della loro ideologia se non altro, non vilmente per soldi. Mafioso vigliacco assassino gridavano i Tunisini nelle piazze gremite dalla rivolta, ma anche, allo stesso tempo, libertà giustizia legalità. La teppa di regime, dopo avere sparato sul popolo inerme, dismesse le uniformi si era data a saccheggiare e a delinquere, mentre il capobanda preparava la fuga all’estero con un immenso bottino per sfuggire alla meritata punizione. L’abbandono di Ben Ali, ex militare, da parte dell’esercito, costituiva infine la plastica rappresentazione del ben azzeccato aforisma di Andrea Costa (1881) “senza la forza la ragion non vale”.
Il fatto che il fuggitivo, dopo un emblematico tentativo di raggiungere l’Italia, trovasse ricetto presso la cricca wahabita della cosiddetta Saudi Arabia – il peggio del peggio nel fanatismo integralista islamico – merita attenzione. Non sembra che il laicismo lungamente ostentato gli sia stato d’ostacolo, mentre rileva che – indipendentemente dalla caratterizzazione laica o invece fondamentalista – la cricca saudita come quella benalista, e come altre, risultino accomunate dalla mendace e ipocrita definizione inventata dalla propaganda occidentale di “paesi arabi moderati”. Una volta i colonialisti dividevano gli Africani colonizzati in “negri buoni” (ascari, collaborativi, servizievoli, kapò ante litteram) e “negri cattivi” (refrattari, resistenti, ribelli). Così oggi l’imperialismo globale, i cui fili principali si tirano a Washington (rectius: a Wall Street) e che beninteso presenta caratteri profondamente diversi dall’imperialismo coloniale originario, mediaticante classifica i bersagli delle sue perniciose attenzioni distinguendoli tra i paesi “moderati” (quelli dove il potere è tenuto dai collaborazionisti che infatti vengono sostenuti e pagati) e gli altri. Non che in questi ultimi sian tutte rose e fiori. Ma volendo comparare il profilo stesso della rappresentanza formalistica e delegata, nella quale mendacemente la propaganda occidentale individua l’essenza stessa della democrazia, si dovrebbe convenire per esempio che il sistema iraniano, a forte impronta teocratica e autoritaria, brilla per apertura e trasparenza rispetto a quello benalista e ad altri congeneri.
MS
(continua)

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