Referendum, le ragioni del voto – parte prima

Non sempre lo strumento referendario, che in Italia – salvo si tratti di confermare o meno modifiche alla Costituzione – è unicamente abrogativo, è stato utilizzato al meglio. Alcuni tra i quesiti via via proposti erano virtuosi, altri invece più o meno strumentali e qualche volta addirittura deleteri. Dopo la lunga serie di consultazioni referendarie succedutesi tra gli anni ’80 e gli anni ‘90 del secolo scorso probabilmente si era diffusa tra i cittadini una certa stanchezza, facendo leva sulla quale le forze che di volta in volta erano ostili all’approvazione dei quesiti referendari proposti ebbero gioco abbastanza facile nel propagandare non il voto contrario bensì la diserzione delle urne. Infatti dopo la consultazione del 11 giugno 1995, che si era tenuta su ben dodici quesiti contemporaneamente, tutti i ventiquattro referendum abrogativi celebrati tra il 15 giugno 1997 e il 22 giugno 2009, risultarono invalidati per il mancato raggiungimento del “quorum” (50%+1 degli aventi diritto al voto).
Anche in prospettiva della battaglia, ancora agli inizi, per l’introduzione del referendum propositivo, meglio se a quorum ribassato o senza quorum, sarebbe importante che il quorum stesso, nella consultazione del 12 e del 13 giugno 2011, fosse raggiunto. Si evidenzierebbe infatti, indipendentemente dal merito stesso dei quesiti, un ritrovato interesse popolare a quella modalità decisoria che certamente è assai più vicina alla democrazia in senso proprio di quanto non sia il parlamentarismo rappresentativo elettoralistico, matrice e ricettacolo di una casta ingorda e corrotta di politicanti della quale il paese paga, in tutti i sensi, l’onerosissimo costo.
Ciò premesso, la quadruplice consultazione referendaria di questi giorni si distingue, al di là delle implicazioni contingenti di utilità sociale che pure non mancano, per il significato “di principio” insito in tutti i quesiti, che toccano nel profondo questioni essenziali nell’organizzazione dei rapporti sociali stessi. Questioni “ideologiche” si potrebbe dire, se l’aggettivo non godesse di una reputazione pessima. Ma, al contempo, questioni non viziate in radice dalle geometrie abituali della politica politicante, da cui  anzi prescindono. attenendo invece, nell’intima loro sostanza, alle prerogative e dunque alle scelte anche individuali dei cittadini.
Tutti i quesiti referendari quindi sono importanti. Ma i due sull’acqua, per la proiezione emblematica dell’esito, a mio parere sono forse i due di maggior rilievo.
Raggiungere il quorum di partecipanti al voto che dia validità ai referendum sembra impresa non affatto agevole. La manipolazione televisiva della scadenza referendaria, passata praticamente sotto silenzio fino all’ultimo, nonostante lo sforzo immenso profuso da associazioni e singoli cittadini col passaparola, con l’organizzazione di tanti eventi locali, con la comunicazione in rete, non poteva essere controbilanciata. Alcune forze politiche,  invece, visto l’esito delle recenti elezioni amministrative si sono strumentalmente accodate alla campagna referendaria al precipuo scopo di trarne utilità propria. Tra i pidisti – è a costoro che mi riferisco – abbondano, anche se momentaneamente i più tra essi tacciono, i sostenitori della privatizzazione dell’acqua (alcuni fan parte addirittura del relativo comitato), del profitto d’impresa sulla gestione dell’acqua, della realizzazione stessa di centrali nucleari, del privilegio di casta che trova nella norma sul “legittimo impedimento” un’espressione tipica. Se il quorum non fosse raggiunto, tali settori oggi abbastanza mimetizzati si scatenerebbero e se ne potrebbe determinare una modificazione in negativo degli equilibri tendenziali, volti al cambiamento, che sembrano essersi configurati nel paese nelle ultime settimane. Ma anche se una eventuale vittoria del “sì” non fosse indiscutibilmente massiccia le voci della reazione riprenderebbero fiato in tutti i settori, apparentemente distinti e contrapposti, della politica politicante italiana.
MS
(continua)

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