Referendum, le ragioni del voto – parte seconda

In quanto alla “libertà di voto”, che sarebbe stata graziosamente elargita, visto l’infausto esito delle amministrative, dai vertici delle attuali forze di maggioranza parlamentare ai rispettivi elettori, che roba sarebbe? Forse che i partitocrati sarebbero padroni assoluti del voto dei propri elettori pro tempore? La disciplina dei vecchi partiti politici è defunta con loro. Gli aventi diritto al voto, fortunatamente, fanno quel che gli pare e della “libertà di voto” che sarebbe loro concessa dai politicanti di ogni apparente colore se ne infischiano.
Recarsi a votare, senza separare il cuore dalla ragione, è dunque un imperativo morale prima che politico, che deve impegnare tutti coloro – senza vacue strumentali distinzioni tra “destra” e “sinistra” – che tengono a essere partecipi del proprio destino, senza rimetterlo con delega in bianco a una cricca di parassiti sociali che ne disporrebbe a tornaconto proprio.

Quesito n. 1 (scheda rossa): abrogazione dell’affidamento del servizio ai privati

Che l’acqua resterebbe “comunque” pubblica, venendone privatizzata la sola gestione distributiva, è solo un giochetto di parole ingannevole, anzi truffaldino. L’acqua in un mondo antropizzato non esiste in quanto materia liquida ma solo in quanto elemento gestito: non si va al fiume a rifornirsene, ma al rubinetto che attinge dall’acquedotto. Dunque solo chi la gestisce può decidere se, come, a che prezzo, l’accesso all’acqua effettivamente  possa avvenire. Se tale accesso in linea di principio va garantito a tutti, allora esso deve potersi realizzare, salvo cause di forza maggiore, a condizioni di ugual favore per tutti. E non trovo molto appropriato riferirsi all’acqua come a un “bene”, ancorché “comune”: preferirei definirla piuttosto un “patrimonio”, poiché da un “bene” si tende a ricavare un utile, mentre un “patrimonio” può evocare, piuttosto, l’intento di una doverosa salvaguardia.
Il principio fondamentale al quale riferirsi, la cui obliterazione risulterebbe in una epocale catastrofe planetaria, è che l’acqua, uno dei quattro elementi naturali (“Sorella acqua”, nella meravigliosa invocazione di Francesco d’Assisi), non può in nessun caso essere considerata alla stregua di un fattore economico. Numerosi, nel corso della storia, sono stati i casi di appropriazione arbitraria di patrimoni naturali “comuni”, a scopo di profitto, da parte di privati soggetti. A tali espropriazioni in danno della collettività, talora realizzatesi in forza di legislazioni-regalia ad hoc, talora con la brutalità della rapina, è propriamente da ascriversi lo sfruttamento dell’acqua a fini economici: questione di fondo, sulla quale non sono concepibili compromessi.
L’affidamento della gestione dell’acqua ai privati, secondo i suoi fautori, consentirebbe di attingere, per la gestione stessa, ai capitali dei “mercati finanziari” (leggi: usurai istituzionalizzati). Posto che non risultano interventi onerosi di miglioramento della rete distributiva laddove questa già sia in mani private, ma semmai solo aumenti del prezzo al consumo, ci mancherebbe solo la finanziarizzazione speculativa dell’acqua.
Più pertinentemente si è osservato che oggi le aziende pubbliche che gestiscono la distribuzione dell’acqua sono controllate o  condizionate dai politicanti. Problema vero, da risolvere. Ma con le gare d’appalto, indispensabili  per l’affidamento della gestione ai privati,  la corruzione (con il possibile coinvolgimento dei politicanti stessi) non verrebbe forse incentivata? E cosa dire, poi, dell’ormai dilagante commistione tra politica e imprese private, correlata  nel migliore dei casi al lobbismo ma anche, sempre più spesso, alla politicizzazione dei cc.dd. “manager” del settore privato, che tendono a coprirsi con idonei padrinati (e che infatti ritroviamo a volte proiettati di colpo nel settore pubblico)?
MS
(continua – la prima parte è di oggi 12 giugno 2011)

Questa voce è stata pubblicata in Piccole riflessioni e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento