Oggi Napoli, domani l’Italia

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Fazio, Consorte, Fiorani, Grillo: pene ancora troppo lievi

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Interessante inchiesta su certe trasversalità d’affari

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Intervallo a Sucate, via Puppa

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Superiorità antropologica dell’ironia sulla barzelletta da trivio

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Prima il lavoro agli Italiani, anzi ai Padani

Da La Repubblica del 25 maggio 2011, la foto di un lettore: attacchini italiani, anzi padani, affiggono manifesti elettorali bossisti.
“L’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù” (François de La Rochefoucauld).

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Milano, ridere per non piangere

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Città, aria nuova o riciclata? – parte terza

Pisapia, a detta di tutti, è anche una persona gentile. Forse troppo gentile. Sembrerebbe anzi un clemente, un indulgente, un buonista, un “garantista”, non già quell’implacabile giustiziere che, ove si voglia ripulire a fondo la città e dunque usare tolleranza zero, le circostanze richiederebbero. Un altro neo: la sua idea annunciata di nominare dei burocrati sindacali (e non già dei rappresentanti degli utenti) in seno agli organi di amministrazione delle aziende controllate dal Comune sembra venire da uno che vive su un altro pianeta.
Anche se le politiche della sicurezza non sembrano il punto forte di Pisapia candidato, anche se trovo incondivisibile la sua proposta di concedere il voto agli stranieri nelle elezioni dei consigli di zona, il problema non è certo la “zingaropoli” inventata dalla propaganda morattiana né l’ormai mitica realizzazione di una moschea. Cosa vi sia di male in una moschea, più che in una chiesa o in una sinagoga, non mi è chiaro. Avere anzi un luogo decoroso e ufficiale d’incontro e di preghiera per i Musulmani, anziché tanti piccoli siti arrangiati e incontrollabili, dovrebbe risultare rassicurante per chiunque, in buonafede, si ponga il problema di eventuali infiltrazioni di fanatici terroristi. Mi sembra piuttosto che la presenza islamica in città, come quella degli immigrati in generale e, con particolare accanimento, quella degli Zingari, siano state artatamente usate da taluni che, lasciando sostanzialmente irrisolti i derivanti indubbi problemi, potevano contare su un permanente clima di insicurezza da coltivarsi per opportune strumentalizzazioni politiche.
La questione è seria e non banalizzabile e la riprenderò meglio in una prossima occasione, qui mi limiterò a qualche osservazione riguardante Milano.
La città già rigurgita di immigrati. Dovrebbero essere 217.000 “regolari” iscritti all’anagrafe di cui 22.000 cittadini UE su 1.322.000 residenti, ma basta farsi un giretto sui mezzi pubblici per rendersi conto che il numero effettivo, comprensivo degli “irregolari”, è assai superiore: un buon humus per la propaganda della paura. In quanto ai Musulmani, nel 2009 l’anagrafe comunale li stimava in poco meno di 50.000. Gli Zingari dei diversi gruppi sarebbero alcune migliaia.
Viene dunque da chiedersi, in una città che un economicismo malato ha mandato culturalmente alla deriva, dove la pessima qualità dell’aria è pericolosa per la salute, dove la qualità dello “sviluppo” si misura, col metro dell’impresismo rampante, dal numero delle gru nei grandi cantieri della speculazione edilizia, chi e perché abbia fatto sì che la città si riempisse non solo di droga, di vizio, di centri di usura e di riciclaggio, ma anche di senzacasa, di postulanti, di clandestini, di abusivi, di disperati disponibili a vendere il proprio lavoro per pochissimo, e per meno ancora se in nero.
Accade cioè che la xenofobia seminata dai reazionari, a volte in forma di puro razzismo, vada silenziosamente di pari passo con un bestiale sfruttamento economico degli immigrati, spesso attuato al di fuori della Legge, nella pura logica liberista della quale i reazionari stessi sono fautori e che esige non il contenimento e il controllo dell’immigrazione di massa, ma al contrario la sua crescita incontrollata e illimitata, come appunto nella regola del globalismo d’affari.
Cosa già ha ridotto Milano a questa “zingaropoli” invivibile, se non un sistema malsano di attività economiche marginali, di impresette figlie del laissez-faire, a volte gestite da stranieri stessi, che fa prosperare il lavoro nero e a volte lo schiavismo, che in nome di un falso benessere economico ha privato la città della sua etica e della sua anima? E ancora, chi amministrava la città negli ultimi quattordici anni?
MS
(fine – la prima e la seconda parte sono di oggi 29 maggio 2011)

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Città al voto, aria nuova o riciclata? – parte seconda

Torino
Sembra quasi che a Torino sia in atto da qualche tempo una tecita intesa, per cui al pidista (e antecedenti) di turno, presentando la parte teoricamente avversa candidati senza speranze, si lascia campo sostanzialmente libero. Una città che per dieci anni (1975-1985) visse il privilegio di avere un sindaco come Diego Novelli si ridusse così via via a Castellani, a Chiamparino, ora a Fassino, cui forse maggiormente si addirebbe la panchina ai giardinetti con nipotini e giornale o la briscola al bar ma che porta a casa il 56,66% d’emblée (col PD però fermo al 34,50%). Patetico destino. Se il direttore d’orchestra cambia, la musica resta quella: sviluppismo estremista (TAV, Olimpiadi invernali) e caffè a letto alla FIAT – che non è neanche più quella degli Agnelli ma quella marchionnista degli Elkann – qualunque cosa essa intenda fare.
Il buon risultato del M5S (4,97% al candidato sindaco Vittorio Bertola, 5,26% alla lista) non sembra molto determinante in un tale sonnolento contesto.
Milano
Qui, dopo il botto del primo turno e data l’importanza simbolica del risultato, è forse la maggiore incognita.
Il risultato del M5S (3,22% al giovane candidato Mattia Calise e e 3,43% alla lista) si può archiviare senza infamia e senza lode. Milano, come ha osservato Adriano Celentano nella sua lettera aperta l’11 maggio scorso, non è ancor pronta: “probabilmente quello delle Cinque Stelle, per come siete stati maltrattati fino adesso, è un salto troppo grande anche per voi milanesi”.
Il sorprendente 48,04% di Giuliano Pisapia al primo turno, con le liste in appoggio al 47,26%, è un risultato di grande effetto ben al di là dei numeri. A esso infatti si accompagna l’altrettanto inatteso 41,58% di Letizia Brichetto Arnaboldi cgt. Moratti, con le liste in appoggio al 43,28%, che segna un catastrofico tonfo del berlusconismo nel luogo stesso dal quale sciaguratamente si diffuse.
Milano già rappresentò per fascismo e craxismo l’inizio e la fine: può ben essere che dopo quella della tragedia, e dell’operetta, a Milano ora si chiuda anche la stagione del cabaret. Il dimezzamento delle personali preferenze, per uno che pavoneggiandosi da capolista ne aveva reclamato l’aumento, (“sono elezioni cittadine ma sono forse anche di più elezioni politiche nazionali”), è una performance di popolarità tale da avere affondato, al primo turno, anche la sig.ra Moratti – che non sarà amatissima ma nemmeno direi così tanto disprezzata come l’omino del bunga bunga.
Fosse vero che “Milano libera tutti”, e più per repulsione del berlusconismo che per fiducia nel pidismo, sarebbe davvero un bel regalo al paese. In effetti certi espedienti mai visti prima, offensivi per i Milanesi, cui la parte Moratti ha fatto ricorso in campagna elettorale, sembrano indicativi di un regime arrivato al capolinea e ormai preda di un terrore disperato. Ma è tutto da vedere.
Pisapia, per quanto noto, è una persona molto perbene: una rarità, di questi tempi. Ma è oggettivamente idoneo al compito per il quale si è proposto?
La sua debolezza politica, quella che finora gli ha dato forza, è di essere relativamente estraneo – ancor più della Moratti – al sistema “corporate” dei partiti, cioè al complesso politico-affaristico, che nondimeno, purtroppo, sembra accerchiarlo. Va anche tenuto conto che la coalizione di sostegno include forze eterogenee (dalla lista Pannella-Bonino alla Federazione della Sinistra) tutte piuttosto piccole tranne il PD che al primo turno ha conseguito il 28,63% mentre le sette altre liste hanno totalizzato, insieme, il 18,63%. Tra candidati e sostenitori, poi, si notano anche taluni vecchi arnesi del craxismo locale. Si prospettasse mai una svolta decisa, che voglia sottrarre la città alla morsa dell’affarismo sviluppista e speculatore, come reagirebbe il coacervo tenuto finora insieme dalla comune tensione a vincere?
MS
(continua – la prima parte è di oggi 29 maggio 2011)

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Città al voto, aria nuova o riciclata? – parte prima

L’elettoralismo non suscita il mio entusiasmo. Soprattutto in epoca d’inganno mediatico pervasivo, lo reputo essenzialmente uno mero strumento perché alcune persone perbene possano disporre di una tribuna ed esercitare, quando possibile, un controllo sugli affari dei mascalzoni. Non riesco a dissimulare l’insopprimibile disprezzo che mi ispirano la politica politicante e i suoi interpreti, che dominano la scena. Dunque della politica, in generale, mi interesso sì ma non mi occupo. Raramente, allorché sembra emergere qualche elemento ancorché minimo di democrazia (democrazia diretta) o di partecipazione (“dal basso”), allora il mio interesse si ravviva.
Ciò premesso, svolgerò qualche schematica considerazione all’esito del primo turno delle elezioni amministrative 2011, mentre ancora quello di ballottaggio è in corso. Considerazioni che per economia di tempo e di spazio limiterò alle quattro città più grandi.
Napoli
Un ottimo segnale è venuto a mio avviso da Napoli, città stremata dal bassolinismo, nella quale le primarie del PD, poi annullate, si ricorderanno per la rilevante partecipazione di Cinesi a gruppi.
Luigi de Magistris, che come tutti i mortali non è infallibile ma che da magistrato integerrimo non guardò in faccia a nessuno, ha ottenuto col 27,52% dei voti un clamoroso successo personale (mentre il prefetto Morcone, mandato allo sbaraglio, ha chiuso al 19,15%) su una linea di distinzione dal regime dei partiti e dall’artificioso schema “destra-sinistra”. In una città dove in campagna elettorale ancora prosperano, mutatis mutandis, sistemi di cattura del voto di laurina memoria, è un risultato che si potrebbe definire strabiliante.
Sull’avversario che de Magistris affronta al ballottaggio non spreco parole. Rilevo piuttosto che ai numeri alla Totò nei quali si è esibito il sig. Mohamed Esposito i Napoletani hanno risposto, per ora, con uno squillante pernacchione.
Due osservazioni ancora. L’appoggio offerto a de Magistris dell’ex presidente ultrà di Confindustria D’Amato non fa presagir bene. Quanto al sig. Macaluso, che dice “se dovessi votare a Napoli mi turerei il naso e voterei de Magistris” per rispetto alla sua veneranda età mi dispiaccio dover notare che il naso andrebbe semmai turato in presenza di quel suo voto togliattiano: un voto, non richiesto, d’inquinamento politico.
Comunque vada a finire, resta fondamentale è che de Magistris, con una battaglia di coraggio condotta in un contesto difficilissimo, sia riuscito a costruire e a rendere percepibile un paradigma esemplare di riscossa, che può animare nella direzione giusta la risorgente speranza di emendare il paese dalla tabe che l’affligge. Quel che il decantato “fenomeno” Vendola a mio parere non è in grado di fare.
Bologna
Il risultato più rilevante non è secondo me il successo al primo turno del candidato PD Merola col 50,46% (e col partito al 38,27%) ma il 9,50% conseguito da Massimo Bugani del M5S col 9,40% alla lista. In una regione pesantemente dominata dal complesso ex picista e condizionata dall’impresismo delle cooperative di costruzioni che con lo spirito cooperativistico originario poco ormai hanno a che vedere, il Movimento 5 Stelle conferma nel capoluogo, e anzi lievemenrte incrementa, il successo che già aveva conseguito alle elezioni regionali del 2010 (8,1% alla lista e 9,3% al candidato eletto).
Date le funzioni di controllo nelle assemblee elettive e di rapporto diretto coi cittadini, alle quali gli eletti del M5S hanno finora tenuto fede, si potrebbe sperare qualcosa di buono.
MS
(continua)

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