Difetto di legislazione – parte terza

A quell’epoca la caduta del Muro di Berlino prima, che portò al superamento del PCI (1991), e dipoi l’inchiesta Mani Pulite, che determinò il crollo dei partiti politici tradizionali (1992-1993), ebbero una duplice conseguenza: i vincoli del collateralismo si allentarono e le componenti interne partitiche (in CGIL e UIL: in CISL le matrici correntizie erano diverse) vennero meno.
Ma il 1993, anno dei due importanti accordi interconfederali di cui sopra,  non segnò un nuovo inizio: mentre nei luoghi di lavoro l’unità d’azione sostanzialmente teneva, ai vertici essa progressivamente veniva disfacendosi. Il pacchetto Treu del 1996 pose premesse per un consistente rimaneggiamento della legislazione lavoristica che fu esteso nel 2003 dalla Legge 30. Ciò fece emergere divisioni crescenti tra le  confederazioni sindacali, che iniziarono a tradursi in accordi separati per i contratti collettivi nazionali di lavoro e financo per protocolli interconfederali.
L’atteggiamento collaborativo tenuto da CISL e UIL appetto a quello contrattualista della CGIL trovò riscontro in una progrediente mutazione genetica del sindacato stesso. Tra gli iscritti i pensionati erano cresciuti rispetto agli attivi, mentre le attività di servizio (vertenze individuali, formazione, assistenza fiscale, patronato) si erano sviluppate alquanto assumendo rispetto alle quote di tesseramento un’importanza economica notevole. Le correnti organizzate avevano lasciato spesso il campo ad aggregazioni variabili di interessi.
Mentre registrava un certo successo il sindacalismo “di base”, a dispetto dei pochi mezzi, al quale si erano aperti spazi nuovi, ed emergeva mediaticamente l’UGL erede della CISNaL, governo e parti datoriali agevolarono il passaggio delle confederazioni a un diverso modello ristorandone le forze, a maggior beneficio delle meno radicate sui luoghi di lavoro: mediante rimandi legislativi alla contrattazione con le “organizzazioni maggiormente rappresentative”, riformulate in “comparativamente più rappresentative”, che ne valorizzavano il ruolo; mediante il consolidamento della presenza in enti e organismi di vario genere e livello, che garantiva posti e frazioni di potere; mediante la proliferazione degli enti e delle strutture “bilaterali” che, pur essendo privati soggetti, spesso tendevano a svolgere funzioni parapubblicistiche e certamente introitavano risorse di un certo rilievo. In un quadro tale, il sistema di interessi particolari venutosi a consolidare rendeva logicamente impraticabile qualunque ipotesi di seria regolamentazione dell’attività sindacale. Guardando per solo esempio alla pratica invalsa della copertura paritaria tripartita, o a rotazione concordata, fra CGIL, CISL, UIL (con l’UGL tenuta a qualche distanza) dei posti spettanti in una pletora di organismi, enti, uffici e comitati, è facile osservare che essa, specialmente per chi ha meno iscritti o meno potrebbe vantarne in caso di certificazione regolamentata, risulta assai più vantaggiosa che non una ripartizione dei posti suddetti effettuata in proporzione alla rappresentanza effettiva.
MS

(continua – la prima e la seconda parte sono del 3 e del 5 settembre 2010)

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