Sessant’anni fa moriva Evita

Sono trascorsi sessant’anni dalla morte di María Eva Duarte de Perón, nata María Eva Ibarguren, avvenuta il 26 luglio 1952 a Buenos Aires a soli trentatré anni. Poco prima della morte, quando già era gravemente malata, il Congreso Nacional le aveva attribuito l’eccezionale titolo, onorifico e perpetuo, di Jefe Espiritual de la Nación Argentina.
Nonostante la sua figura talora sia stata pesantemente infamata, soprattutto in Europa da coloro che presuntuosamente misurano la politica sudamericana col metro proprio e da altri per mera strumentale convenienza, sia in Argentina come più in generale in Sudamerica essa gode tuttora di una popolarità diffusa che sfida il tempo.
Evita appartenne al peronismo originario (più correttamente “Justicialismo”), un amalgama ideologico non privo di criticità ma non certo quel mostro che per decenni fu dipinto, congiuntamente, dal liberalismo e dal marxismo dogmatico occidentali. A lei guardavano i ceti più poveri, i lavoratori, le donne, che nel 1951 grazie soprattutto alle sue battaglie ottennero in Argentina il diritto al voto. Niente a che vedere con il Peròn seconda maniera degli anni settanta, squallido e disgustoso burattino manipolato da piduisti e stregoni.
La presidente Cristina Fernández de Kirchner, commemorando Evita – che nell’anniversario della morte è stata effigiata sulla nuova banconota da cento pesos – ne ha evocato il veemente impegno sociale affermando tra l’altro “Dobbiamo imparare le lezioni della storia e sapere che il cammino scelto, ovvero di un paese con sempre meno poveri, significa affrontare interessi”. Quegli stessi che con l’ausilio di politicanti collaborazionisti depredarono l’Argentina alcuni anni fa, come stanno depredando l’Europa oggi.
MS

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