Ma per intanto lo zio Tibia in galera non ci va

Il Sallusti cerca il martirio in carcere ma sciaguratamente non viene accontentato.
La casta dei giornalisti – una delle peggiori, il cui “ordine professionale” andrebbe disciolto qui e adesso – si è quasi unanimente levata in sua difesa contro i “reati di opinione”. Mistificazione e infamia. Infamia, perché quando è un quisque de populo e non un compare di penna a trovarsi perseguito per un autentico “reato di opinione”, il giornalistume mainstream non si scompone punto, e a volte plaude. Mistificazione, perché il Sallusti non fu perseguito per una “opinione”, posto che ne abbia, ma per una menzogna diffamatoria pubblicata sotto pseudonimo da un quotidiano che egli dirigeva, avendo omesso il controllo di cui la Legge gli fa obbligo.
Ma il peggio non ha limite. Mi vien difficile immaginare elementi al di là del Sallusti, e non solo fisiognomicamente parlando, invece uno è saltato fuori: l’autore, col nomignolo di Dreyfus (!), dell’articolo bugiardo. Trattasi di Farina Renato, lo spione betulla, costretto a confessare, nel parlamento dove degnamente siede ben al riparo delle note guarentigie, ma soltanto dopo che un altro notevole soggetto, il Feltri, l’aveva pubblicamente denunciato come vigliacco.
Trovo sgradevole trovarmi a respirare la stessa aria di gente siffatta.
Per intanto, tra una menata e l’altra, zio Tibia rimane a piede libero. Scommetterei che ci resterà, ma in caso contrario lo spumante sarà già in fresco.
MS

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