Sarebbe una buona cosa, per questo non si farà

Per quanto il parlamentarismo rappresentativo, cosiddetto, sia una strana bestia, e quello italiano ancor più, non può non apparire ingiustificato il privilegio che vi si accorda ai professionisti – così come agli imprenditori – che da parlamentari, a differenza dei dipendenti pubblici e privati, possono svolgere una doppia attività cumulando i due redditi.
Attribuire un tal privilegio alla libertà di organizzare i propri impegni lavorativi sarebbe risibile.
La questione infatti è di principio: possibili conflitti d’interessi e influenze improprie devono essere esclusi in partenza, dunque l’incarico parlamentare, in quanto pubblico ufficio, è concettualmente incompatibile con l’esercizio di qualunque altra attività remunerata che conseguentemente va sospeso.
Va notato che il sig. Di Pietro, lasciata la magistratura, teoricamente esercita anch’egli la professione di avvocato. Sarà anche, la sua, un’esibizione elettorale, ma anteporre l’interesse generale al proprio particolare depone, oggettivamente, a suo onore.
MS

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Ecco un’idea più che ottima

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Oggi per caso… #21

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Per avere una giustizia efficace basterebbe poco

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Alcol e droga alla guida, intenzione omicida – parte terza

Sembra evidente che ogni legislazione di giustizia dovrebbe tener conto della fase storica e della problematica sociale in cui troverà applicazione, ma proprio questo induce a osservare che, per la forte rilevanza assunta nel suo diffondersi da una condotta socialmente irresponsabile come la guida in stato di alterazione – basti vedere le statistiche dei controlli effettuati su strada – e ciò anche in termini di conseguenze pratiche, cioè di vittime, la sproporzione tra una tal condotta e la pena applicabile, ove la medesima si configurasse come omicidio volontario con dolo eventuale, non sarebbe forse così tanto clamorosa.
In ultimo, l’allarmante estensione di simili comportamenti socialmente irresponsabili tra i giovanissimi, si potrebbero ipotizzare soluzioni rieducative adeguatamente rigorose, sia nei confronti dei ragazzi stessi, sia nei confronti delle relative famiglie che il già citato complesso ideologico cattoliberista pretenderebbe “inculcassero” loro i propri valori e che evidentemente non sempre svolgono tale compito – o forse inculcano contenuti devianti perché le famiglie stesse già ne sono impregnate. Comunque sia le famiglie, e non perché siano impropriamente esaltate, portano responsabilità indiscutibili nell’educazione e nell’esercizio di un ragionevole controllo dei figli non ancora adulti, dalle quali  responsabilità certamente non possono venire assolte.
Per un verso l’età minima di imputabilità, che attualmente è di quattordici anni, meriterebbe essere riconsiderata. Oggi un adolescente di quattordici anni ha vissuto, mediamente, un’esperienza di crescita assai diversa da uno di cinquant’anni fa. Al punto che per alcuni, pur pochi, essere minori di quattordici anni risulta in una sorta di licenza di caccia nella piena consapevolezza di poter delinquere impunemente.
D’altro verso per chi non sia in età imputabile, in apparente deroga al principio della responsabilità penale individuale dovrebbero essere chiamati a rispondere in qualche misura i titolari della potestà genitoriale che, essendo il minore privo della capacità di agire, per lui agiscono in qualità di rappresentanti anche legali derivando i propri poteri direttamente dalla legge e che dunque non potrebbero essere manlevati dalla responsabilità dell’educazione né da quella di impedire al minore, con idonee azioni, di nuocere socialmente.
Per chi sia in età imputabile, infine, ma non ancora nella maggiore età, forse in luogo del carcere potrebbe giovare un congruo periodo rieducativo in un buon campo di lavoro, che possa indirizzare l’energia vitale propria di un adolescente con appropriate misure da applicarsi nella vita quotidiana (sveglia all’alba, intensa attività fisica, pochi agi e segregazione dai vizi) a un’esistenza socialmente compatibile.
MS
(fine – la prima e la seconda parte sono di oggi 30 aprile 2011)

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Alcol e droga alla guida, intenzione omicida – parte seconda

L’ideologia liberista, tipicamente, inclina a tutelare il reo – chi ha infranto le regole, che per definizione sono “lacci” – più della vittima che ha subito gli effetti della condotta criminosa (non è un caso se il settore “carceri” costituisce da sempre un cavallo di battaglia di Pannella & soci) a meno che, naturalmente, il reato non abbia colpito qualche potente e/o facoltoso personaggio. Da qui il programmato, strutturale depotenziamento delle norme sanzionatorie che – pur indipendentemente dalla pletorica successione di condoni, amnistie, indulti, prescrizioni abbreviate e quant’altro – mina alle sue stesse basi quella politica della “sicurezza” da cui, ostentatamente e mendacemente, la spudoratezza liberista ha tratto costante alimento per la propaganda elettorale.
Una società, intesa come complesso organizzato di relazioni interumane, che pur non volendo scadere nel securitarismo verboso si  proponga di tutelare seriamente le vittime effettive o potenziali di condotte irresponsabili e socialmente devianti, dovrebbe dotarsi di protezioni adeguate sanzionando quelle condotte con rigore deterrente. Nel caso concreto (guida di veicoli in stato di alterazione psicofisica), sarebbe auspicabile codificare in norma – e non più lasciare al discrezionale apprezzamento del giudice – la previsione generalizzata del dolo eventuale; se non prevedere addirittura che il reato di omicidio volontario sia ravvisabile nel solo atto di condurre un veicolo in stato di alterazione grave, rilevata secondo congrui parametri, che sia tale da mettere in pericolo le altrui vite,  senza necessariamente attendere che queste ne siano stroncate.
Parrebbe una boutade iperbolica, ma la nozione di reato a consumazione anticipata già oggi è applicata alla strage, che non ammette il tentativo. Infatti, secondo l’ottima formula adottata dal giudice di legittimità, “per la consumazione del delitto è sufficiente che il colpevole compia atti che abbiano l’idoneità a cagionare una situazione di concreto pericolo per il bene tutelato e, quindi, si considera come delitto consumato un comportamento, che, senza tale specifica previsione normativa, potrebbe configurare una ipotesi di tentativo” (cass. pen. sez. I, 13/11/1991).
Dunque, analogicamente, l’omicidio volontario con dolo eventuale verrebbe a configurarsi per aver compiuto, mettendosi alla guida senza esserne in condizioni, atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere atti ulteriori tali da porre in pericolo la pubblica incolumità.
Circa il possibile effetto deterrente della sanzione, in particolare, provocatoriamente evocherò un’antica teoria giuridica, caduta in disgrazia sotto il regime “semper pro reo” instaurato dall’indulgentismo cattoliberista, che assumeva come ipotesi di scuola il criterio della massimizzazione della pena. In termini meramente esemplificativi (e volutamente iperbolici), la previsione della pena di morte per il reato di omicidio volontario risulterebbe scarsamente deterrente quando non si presti addirittura a essere colta dal reo come sfida, giacché chi volontariamente uccide potrebbe ben essere mentalmente predisposto a correre una tale alea. Ma la previsione di dieci anni di carcere per lo schiamazzo notturno, data l’evidente sproporzione della pena, verosimilmente indurrebbe i potenziali schiamazzatori a restarsene in silenzio e l’effetto deterrente sarebbe reale.
MS
(continua – la prima parte è di oggi 30 aprile 2011)

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Alcol e droga alla guida, intenzione omicida – parte prima

Prendo a spunto uno dei tanti fatti gravissimi (i due carabinieri selvaggiamente aggrediti in provincia di Grosseto a un posto di controllo da quattro giovani di cui tre minorenni, vedi notizia qui sotto) che accadono troppo spesso in questi anni di sottocultura dell’irresponsabilità; anni intossicati da una perniciosa spettacolarizzazione mediatica degli eccessi di ogni genere e conseguentemente pervasi da modelli liberisti di edonismo in proiezione dei quali tutto sarebbe concesso al di là di ogni regola comportamentale e morale.
Giovani ma anche meno giovani, italiani e stranieri, maggiormente ma non esclusivamente maschi, soggetti che nella quotidiana vita di relazioni appaiono “normali”, si rendono attori di condotte criminali che evidenziano un totale disprezzo di ogni vincolo solidale e comunitario di rispetto degli altri – anche nel senso benthamiano della mera utilità sociale -  e financo delle altrui vite. Un panorama drammatico di disgregazione sociale che viene icasticamente reso, ogni giorno, da quanto è dato sapere (e chissà quanto invece non ne viene saputo) dei fatti tragici che accadono, emblematicamente, sulle nostre strade.
Se i carabinieri di cui alla notizia tratta a spunto non avessero fermato l’auto coi quattro che poi li avrebbero aggrediti, un ubriaco in più al volante avrebbe messo in pericolo la sicurezza pubblica.
Mettersi alla guida di un veicolo, cioè di un’arma impropria, sotto l’effetto dell’alcol e/o della droga, è un gesto irresponsabile e criminale che sciaguratamente la Legge, obsoleta, non contempla come delitto gravissimo in quanto tale. In caso di incidente, infatti, anche se mortale, l’apprezzamento della circostanze specifiche è oggi affidato alla sensibilità del giudice. È, questa, una lacuna legislativa che risulta in una grave incertezza del diritto a danno soprattutto delle vittime. Si pensi che lo stato di ebbrezza alcolica, in passato, talora fu persino invocato – rammento un caso di stupro a Roma  – quale circostanza attenuante.
Posto che l’assunzione di alcol in ragionevole quantità, diversamente da quella di stupefacenti, appartiene a una plurisecolare cultura che sarebbe inconcepibile ripudiare, va da sé che tutt’altra cosa è assumere alcol fino a stordirsi per mettere poi in pericolo, con la propria condotta alterata, l’incolumità altrui in luoghi pubblici: è comportamento, questo, di tale gravità sociale da risultare incondonabile.
Attualmente, giova rammentarlo, è la giurisprudenza ad avere elaborato il concetto di “dolo eventuale”, con ciò intendendo il sentimento di un soggetto che, pur non volendo scientemente causare un determinato evento ne percepisca comunque la possibilità e ne accetti il rischio quale conseguenza della propria condotta. Diversamente la mera “previsione dell’evento”, accompagnata dalla convinzione di poter evitare l’evento stesso, implica la non accettazione del relativo rischio e dunque, qualora l’evento effettivamente si verifichi, agli effetti giudiziari risulta in una “colpa cosciente”.
Una distinzione molto sottile come si vede, che oggi è il giudice a dover effettuare in relazione a come egli ricostruisca la condizione mentale dell’imputato al momento del fatto. Ma che può produrre effetti enormi: in caso di omicidio, per esempio, il dolo eventuale integrerebbe un reato volontario (con pena fino a trent’anni e teoricamente all’ergastolo) mentre la colpa cosciente risulterebbe in semplice reato colposo (con pena fino a cinque anni).
MS
(continua)

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In una società disgregata la strada è un campo di battaglia

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Ma è come sparare sulla Croce Rossa

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Sembra uno scherzo ma non lo è

Probabilmente la famiglia stessa, nella sua dimensione eterosessuale, solleciterebbe oggi considerazioni problematiche alquanto, ben mi guardo dunque dall’assumere le difese di quella omosessuale. Nondimeno, non riesco a non avvertire una certa ripulsa per quel moralismo dei giorni dispari che tipicamente si caratterizza, fuor di buonafede, per l’uso sistematico di due pesi e due misure: tacendo o balbettando quando bisognerebbe gridare il proprio disgusto e cianciando invece, con supremo sprezzo del ridicolo, quando nulla vi sarebbe di che dire. Risultando, spesse volte, forte coi deboli e debole coi forti: aggravante di viltà.
La Costituzione, beninteso, c’entra come i cavoli a merenda. Tutt’altri, e di stringente attualità, sono semmai i comportamenti che la offendono. Ma ciò che più disturba, nelle apparenti ubbie del sig. Giovanardi che per simili uscite già si è fatto un nome e che in un paese normale potrebbe essere cortesemente invitato a far curare le proprie ossessioni, è l’assordante silenzio scrupolosamente osservato, in tema di comportamenti sessuali, circa la mercificazione mediatica della devianza nelle sue ostentazioni  più  becere. A tanto corrispondono le deiezioni d’intrattenimento spacciate per via televisiva, persino in contenitori destinati alle famiglie le più “tradizionali” che al predetto sig. Giovanardi tanto dovrebbero stare a cuore, ove ad apparire non sono persone compostamente e tranquillamente omosessuali, ma checche e travestiti ammiccanti che si esibiscono in siparietti patetici, facendo sguaiato spettacolo della propria culaggine (col che, tra l’altro,  ben si delinea il limite concettuale tra il condursi da omosessuali e il condursi da froci) all’intuibile scopo di solleticare il basso ventre inconfessato di una plebaglia – che comprende anche padri di famiglia apparentemente irreprensibili – a profitto dell’audience e dunque dei cosiddetti “investitori” dei quali, tra una pochade e l’altra, si manda la pubblicità; in ultima analisi, a profitto di chi la pubblicità la vende.
Una parolina su  tali oscene e lucrose confricazioni, questo sig. Giovanardi non vorrebbe dirla?
MS

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